Mario si svegliò di colpo, come se qualcuno lo avesse scosso. Il cuore batteva forte, non per paura, ma per un’energia incontrollabile che gli riempiva le vene. La mente correva veloce, troppo veloce, come un fiume in piena dopo giorni di pioggia. Ogni idea sembrava geniale, ogni gesto possibile, ogni parola necessaria. Aveva voglia di fare tutto, di dire tutto, di essere ovunque. Sentiva il bisogno di chiamare amici che non vedeva da anni, di iniziare progetti che fino al giorno prima sembravano impossibili.
Ma sapeva, in fondo, che quell’onda non sarebbe durata. Perché dopo, inevitabilmente, arrivava la caduta. E quando la marea si ritirava, lo lasciava esausto, vuoto, incapace di alzarsi dal letto. I giorni diventavano lunghi corridoi grigi, in cui ogni passo pesava come pietra. Gli sguardi degli altri gli scivolavano addosso, e perfino la luce del sole sembrava un’intrusa. Le risate di ieri diventavano ricordi lontani, quasi sospetti, come se non fossero mai appartenute a lui.
La sua mente non gli dava tregua: era un pendolo impazzito, oscillante tra vertigini e abissi, tra euforia e disperazione, mese dopo mese. E in quella continua altalena, le relazioni si incrinavano. Alcuni amici si erano allontanati, incapaci di capire; altri restavano, ma il loro sguardo era pieno di domande che lui non sapeva come sciogliere. Tutti i progetti iniziati sembravano perdersi come rivoli di fiume senza uno sbocco, seccandosi.
Quella mattina, però, si fermò a lungo davanti allo specchio. Vide negli occhi la fatica di chi ha combattuto battaglie invisibili e l’urgenza di smettere di combatterle da solo. Un pensiero si fece strada, più chiaro e saldo del solito: doveva trovare un appiglio.
Prese il telefono, con un gesto lento ma deciso, e cercò il numero di un medico che gli avevano consigliato. Sentì il trillo rimbombare nello stomaco. Quando la voce all’altro capo rispose, inspirò profondamente.
«Buongiorno… vorrei parlare con qualcuno… per capire come stare meglio.»
Non era una richiesta fragile, ma un atto di resistenza. Forse, si disse, non poteva fermare il pendolo. Ma poteva imparare a non farsene travolgere.
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Lavorare a livello profondo permette una maggior conoscenza di sé, andando oltre la gestione immediata dell’ansia per affrontare le radici del disagio. L’ascolto, l’interpretazione e l’elaborazione in un contesto analitico permettono di avviare un percorso di cambiamento duraturo.
Opera in foto: "Mosaico di maschere teatrali della tragedia e della commedia", Autore Ignoto, Terme di Deciano (Museo Capitolino, Roma).