La Casa Vuota
Una recensione
Cosa c’è nella Casa Vuota?
Odore di pollo e cipolla, una stanza che funge da sala comune ed un giardino in cui le persone possano passeggiare, come a scavare solchi e sentieri nei percorsi attorno alla casa, infinitamente.
Ne “La Casa Vuota” vi sono personaggi a cui quasi non importa di essere nella casa vuota; a cui pare non importi più nulla, nemmeno di rifiutare. Nella casa vuota vi sono potenziali assassini e folli conclamati. Uomini e donne che scontano la pena d’essere psicotici, quasi senza scampo o possibilità di redenzione o guarigione. Fabrizio Nicosia, portandoci con sé all’interno della Casa Vuota, ci mostra con delicatezza cosa voglia dire inserirsi, da esterno, all’interno di un corpo psichico precostituito, d’un contenitore preesistente e psicotico – folle non solo nel funzionamento mentale degli utenti che nasce per proteggere ( o per proteggere il mondo da loro?) e curare, ma anche nella sua intrinseca strutturazione, nella disposizione e nei modi con cui si affronta e si ammansisce la malattia mentale cronica, la devastazione prodotta da storie familiari ed individuali al limite: al limite del vero e del possibile, al limite della società.
Nella Casa Vuota ci si chiede come si lavori analiticamente in un luogo che si configura come pieno di pace e – al contempo, senza alcuna contraddizione in termini – “come un carcere, meglio di un carcere” (p. 37). Quale genere di trasformazione è possibile nella Casa Vuota?
Il lavoro di Nicosia prova a darsi una risposta descrivendo la conduzione di un gruppo terapeutico durato due anni e tenuto all’interno di una Comunità Alloggio presente nel territorio catanese, e lo fa offrendoci uno spaccato di realtà ed un metodo lavoro psicologico e psicoterapeutico che spesso, troppo spesso, vengono ignorati dai riflettori della pubblicazione e dall’attenzione dei tecnici della saluta mentale. Questo è invece un libro che meriterebbe la lettura da parte di chi, con la malattia mentale cronica ha a che fare ogni giorno, nelle miriadi di luoghi deputati alla cura.
Chi lavora in questo genere di strutture – Comunità terapeutiche, Comunità alloggio, Comunità Riabilitative, REMS, etc. – conosce bene le incessanti dicotomie degli ospiti, l’incessante e monotona richiesta di lasciare la comunità che combatte senza apparente conflitto con la necessità di restare lì, nella Casa Vuota, senza possibilità di muoversi verso nessun luogo, per scelta, senza scelta.
Chi lavora in questi luoghi riconoscerà tra le righe dell’autore i mille modi in cui l’istituzione, gruppo-istituzione dedita alla cura ella psicopatologia grave, si pone in isomorfia con i suoi stessi soggetti, con gli utenti ed i pazienti, e sembra a volte divenire schizofrenica, perversa ed immobile anch’essa; assorta in un delicato equilibrio tra il controllo e la cura, tra il permettere l’attivarsi d’una funzione di pensiero e la necessità di impedirlo affinché l’istituzione stessa possa continuare ad esistere senza esplodere: senza rivelare dunque le proprie caratteristiche totalizzanti, inglobanti, antropofaghe.
Come si muovono le cose e le persone e le idee nella Casa Vuota? L’autore, vignetta clinica dopo vignetta clinica, ci mostra come ogni movimento, nella Casa Vuota, richieda che tutto il suo mobilio sia spostato, che tutti i suoi contenuti (ri)diventino vivi ed attivi e si pitturino di altri colori, trasformandosi in tutti i loro opposti ed in tutte le loro conseguenze; la speranza di un lavoro del genere è che prima o poi il contenuto porti ad una necessaria modificazione del contenitore, al movimento per cui il cambiamento d’una parte porti prima o poi al cambiamento del tutto. Le geometrie composte dagli oggetti mentali dei partecipanti al gruppo così si compongono e ricompongono senza fine, si montano e si smontano, passando dall’assoluto d’una percezione sensoriale (sia essa allucinazione, allucinosi o realtà) al totalmente relativo d’un tentativo di comprendere e fermare in parola il mutevole passaggio da una forma all’altra, tramite l’interpretazione, il gruppo, il pensiero, la narrazione.
Ciò è necessario tanto per gli pazienti, quanto per chi nel gruppo lavora. Nicosia ci mostra come, nel corso dei due anni del suo intervento nella struttura, anche lui assieme all’istituzione abbia dovuto affrontare i temi che di volta in volta il gruppo elicitava, attraversando assieme a loro – assieme ai folli che ne erano nocchieri e comandanti – l’ondeggiare dei loro dolori, dell’apparire dei loro pensieri. Chi lavora nella clinica conosce bene la potenza delle sensazioni e delle emozioni che i pazienti suscitano in chi li ascolta e si troverà a partecipare con l’autore a questo muoversi di emozioni, di mobilia, di persone. Nicosia ha infatti la delicatezza di dare accesso a noi che leggiamo ai propri pensieri, ai propri timori, a tutte quelle nuvole di pensieri che l’hanno bagnato . Immergersi nella lettura de ‘La Casa Vuota’ mostra così come “(…) una comprensione intellettuale delle dinamiche di gruppo non sia sufficiente” (p. 45), come l’unico modo per offrire una possibilità al cambiamento, in relazione alla salute mentale, sia quello di mettersi ‘nel mezzo’ dei vortici emozionali che attraversano i gruppi, permettendosi di ‘scendere’ nel funzionamento dello stesso, nel rischio concreto del cortocircuito psichico, nel terrore di perdersi. È solo da lì, come ci mostra l’autore, da quei luoghi non luoghi, dalle stanze piene di mobilio sconosciuto delle Case Vuote, che si può sperare di intravedere nuove disposizioni dei fatti e delle cose; dei pensieri e delle fantasie; del presente, del passato e del futuro di questi pazienti. È solo nei gruppi che anche i muri e muti (come i pazzi e gli idioti, come le pelli ed i gesti e i corpi, come gli atti e le mancanze) finalmente parlano.
È evidente la sincerità con cui Nicosia narra i fatti e delinea i temi che si intrecciano lungo il filo del suo lavoro. Come un oggetto delicato, come delle farfalle “che non si possono toccare sennò muoiono” (p. 65), l’autore tratta i propri e gli altrui pensieri: con la sensibilità di chi sa e vuole fare poesia anche quando si trovi in contatto con materiale (umano, psichico) che non porta verso l’alto e la metafora ma verso il basso, la concretezza. È da questa posizione – di rispetto, di meraviglia, d’attesa – che è possibile imprimere un senso alle cose, che è possibile scoprire il significato di comunicazioni (e non-comunicazioni) che apparirebbero altrimenti solo deliranti, solo schizofreniche.
Al concludersi di ogni vignetta clinica riprendono dunque i fili di ciò che si è detto nel gruppo, per ri-esprimerlo attraverso una concettualizzazione psicoanalitica che vuole porre in crisi alcuni modelli del pensare la cura psichiatrica Seduta dopo seduta, mese dopo mese, ci troviamo senza fatica a seguire le peripezie durate due anni di Nicosia e del suo gruppo che, tra attacchi istituzionali e allucinazioni che fanno capolino nel racconto dei pazienti-utenti e dell’autore, tra miti e racconti locali, tra santi e prostitute, tra una stanza e l’altra delle struttura in cui essere esiliati, si dibattono nello sforzo di mantenere la propria condizione di gruppo e di esseri umani.
Per concludere: cosa c’è dunque nella Casa Vuota?
Uno psicologo che ascolta e sette pazzi che si provano nello sforzo di stare insieme oltre il tempo che già passano assieme, raccolti come sono in un ambiente che funge da loro da prigione o da luogo di salvezza. Il termine di un percorso di formazione lungo e complesso, quello per divenire psicoterapeuta, che tanti intraprendono, come il nostro autore, con passione, dedizione e sacrificio. L’inizio di un percorso di risocializzazione e riscoperta di sette mondi interni, di sette realtà individuali a cui si assomma quella di Nicosia, così generoso nel farci mostra delle sue percezioni, delle sue emozioni, dei suoi accidenti. La descrizione di un processo di trasformazione che, lungo i due anni che hanno portato alla stesura di questo libro – lungo i due anni passati tra le sofferenze di un luogo (la Casa Vuota, il Gruppo) – sembra voler dare testimonianza su carta non solo delle storie di vita di chi al gruppo ha partecipato e contribuito, ma anche del tribolare di tutti i gruppi con cui costoro sono in relazione: gli individui ed i gruppi descritti da Nicosia si incontrano e si scontrano, come in un crocicchio, e si mostrano benevolmente avvolti o incastrati nell’aporia del loro difficile relazionarsi.
Credo non si possa che rimanere affascinati dalle dinamiche vive e dal dilemma degli infiniti gruppi di umana pertinenza, così come descritti in questo libro.