ALCUNI SPUNTI SULLA TOSSICOMANIA
La dipendenza patologia è definita dalla Organizzazione Mondiale della sanità come uno stato, prodotto dall’uso eccessivo di sostanze tossiche che comporta un fenomeno di tolleranza e una sindrome da astinenza nel caso si una brusca interruzione dell’assunzione.
Diversi studiosi sottolineano come il fenomeno appaia seguire un trend di crescita, soprattutto nelle fasce più giovani (Jeammet, Corcos, 2002) ed altri precisano ancora come la tossicomania, e più in generale tutte le dipendenze (da comportamenti e non; nocive in senso organicistico e non) abbiamo una relazione diretta, nella loro forma come nella loro economia pulsionale-strutturale, con un più ampio cambiamento avvenuto nelle nostre società occidentali. Riprendendo il vecchio andante freudiano per cui la psicologia individuale non esiste se non come astrazione, in quanto essa si da sempre e solo come declinazione di una collettiva psicologia sociale (Freud, 1921), alcuni autori collegano la dimensione della dipendenza con una dimensione socio-culturale profonda e col suo impatto sulla problematica relativa alla struttura di personalità ed al suo strutturarsi in dinamiche narcisistiche-oggettuali. In questo senso Recalcati (2010) sottolinea come “il nostro tempo, non solo tende a produrre comportamenti tossicomanici, ma si configura esso stesso come un tempo intossicato” e come (…) la Civiltà ipermoderna (…) generi fenomeni di intossicazione che non si possono ridurre ai comportamenti tossicomanici, anche se questi possono prestarsi a rappresentarne la tendenza più profonda” (p.195-196; corsivi nel testo originale).
L’adolescenza è vista come quella fascia di età in cui è più probabile che si vada strutturando un disturbo relativo alla dipendenza: è raro che si diventi tossicomani dopo i 25 anni, e l’uso di droghe in adolescenza è particolarmente problematico in quanto spesso comporta grossi rischi per ciò che riguarda la comorbidità e la mortalità, entrando spesso in congiunzione con altri fattori di rischio (quali l’emarginazione precoce, il disinserimento socio-scolare e professionale) che incrementano notevolmente il pericolo che alla dipendenza consegua un progressivo disfacimento delle reti relazionali e di supporto dell’individuo, che si sgancia così dal contesto dell’Altro, dalla dipendenza dall’oggetto.
L’idea sottostante è che la nostra società – capitalistica (Lacan, 1978; “Del discorso psicoanalitico”, tr.it. in Lacan in Italia, edito La Salamandra, Milano), priva del Padre (Recalcati, 2010), priva dei garanti metapsichici che erano le ideologie (Kaes, 2009; Bergeret, 1981) – non sia più in grado di orientare in senso idealizzante i comportamenti e i desideri dei soggetti, che si trovano così nella necessità, per sopravvivere psichicamente, di abbandonare (o non intraprendere mai) l’uso di difese un tempo considerate come ‘normali’ o nevrotiche e funzionali, quali la rimozione e lo spostamento, in favore dell’uso di altre difese più arcaiche, più vicine ad un versante psicotico o perverso, quali la scissione verticale e la negazione. I comportamenti della dipendenza, dunque, tradurrebbero così la caduta delle ideologie, la perdita dei confini e delle barriere generazionali attraverso le quali si esprimeva il conflitto generazionale e, di convesso, il conflitto intrapsichico. Insistendo sulle necessità del bambino di avere il prima possibile un autocontrollo, inserendolo all’interno della dinamiche del desiderio degli adulti, la società, attraverso l’agenzia di strutturazione del pensiero che è (o non è) la famiglia, ‘istiga’ la creazione di nuove ed altre strutture di personalità che sfuggono da una classificazione precisa, andando a incistarsi in diversi tipi di organizzazioni psichiche: “Il momento socio-culturale (…) può così essere attenuato o accentuato dalla natura della costruzione familiare” (Jeammet, Corcos, 2002; p.380) e “la tossicomania è l’incontro di un prodotto, di una personalità e di un momento socio-culturale” (ibidem, p. 394).
In questo senso, ad essere maggiormente operante non è più il livello conflittuale, la problematica che sorge dall’opporsi del desiderio e della sua rimozione, ma è bensì il confrontarsi del soggetto con fondamentale vuoto esistenziale che suscita sentimenti depressivi. È a tali sentimenti di morte e depressione che l’individuo oramai isolato (o in via di isolarsi) cerca di riparare tramite la condotta tossicomanica o dipendente. L’agito, così, prende il posto del pensabile; ed il soggetto si dà ad un uso concreto dell’oggetto, investendo con preponderanza sulla sfera della realtà percettivo-motoria piuttosto che sulla sfera della realtà interna e del desiderio (Racalbuto, 2003 ; Jeammet, Corcos, 2002).
La condotta dipendente, quindi, non va inquadrata esclusivamente all’interno delle categorie dell’illecito e della devianza (per quanto questi aspetti potenzialmente ‘identitari’ hanno comunque un loro ruolo all’interno della dinamica adolescenziale di separazione-individuazione: “ ‘sono un tossicomane’ fornisce al personaggio del tossicomane una carta di identità inedita che rafforza un narcisismo deficitario (Recalcati, 2010, p. 200)), ma altresì compresa come parte di un processo individuale (ed anche familiare) di regolazione dello stato emotivo. Cioè come un modo per sfuggire al disagio interno e per garantire all’apparato psichico un equilibrio altrimenti strutturalmente instabile. Queste modalità di funzionamento dipendenti da un’oggetto esterno inanimato hanno molto a che fare con parallele modalità familiari di stabilire e mantenere relazioni oggettuali: l’esperire relazioni poco soddisfacenti, imprevedibili, può potenzialmente portare il bambino a ritirare i propri investimenti o, viceversa (e quasi paradossalmente), a sovrainvestire, portando così ad una modalità di rapporto con l’oggetto permeata di vischiosità e dipendenza. La tossicomania (ed i comportamenti dipendenti più in generale) si configura, così, come una “’patologia’ dei primitivi processi di scissione ed idealizzazione degli oggetti e del Sé, che non permetterebbero la elaborazione della confusione primaria fra buono e cattivo nelle varie istanze psichiche, di differenziare cioè nell’esperienza evolutiva la frustrazione dalla persecuzione, i sentimenti depressivi dalla depressione persecutoria, l’oggetto buono frustrante dall’oggetto malevolo” (Bertolini, 2000, p. 81-82). In questo senso si può osservare come vadano ad intersecarsi, diciamo così, diverse problematiche relative alla ‘dipendenza’ e come sulla polisemia di questo termine si giochi la dinamica profonda delle patologie del comportamento dipendente: la dipendenza massima esperita in tenera età dovrebbe gradualmente trasformarsi in una relazione di scambio e complementarietà, ed i genitori dovrebbero idealmente aiutare il bambino a interiorizzare il loro ruolo, il loro essere fonte delle soddisfazione dei propri bisogni. Gradualmente l’apparato psichico dovrebbe prendere il posto che era dei genitori in quanto filtro tra le esigenze interne pulsionali ed i vincoli della realtà ambientale. Laddove tale processo di interiorizzazione non avviene a causa delle scissione violenta di parti del Sé e degli oggetti, è possibile che il soggetto ricorra ad altri oggetti, diversi dai genitori (come ad esempio la sostanza psicotropica), per ristabilire di volta in volta il proprio equilibrio interno, per difendersi da un più profondo ed insostenibile stato di angoscia. In questo senso: “(…) la tossicomania è strettamente connessa alla malattia maniaco-depressiva, ma non identica ad essa. (…) L’io del tossicomane (…) non ha la forza di sopportare il dolore della depressione, e facilmente fa ricorso a meccanismi maniacali, ma la reazione maniacale può essere raggiunta soltanto con l’uso delle droghe” (Rosenfeld, 1960, p. 178-179; citato in Bertolini, 2000), cioè soltanto per mezzo di un fattore esterno a sé, inanimato, costantemente presente ed investito di una violenta ambiguità che sostiene, ed è sostenuta, dal timore dell’entrare in contatto con parti di sé e dell’oggetto percepite come frustranti o cattive. Una modalità auto-rinforzantesi che conduce, sin dall’infanzia, ad un graduale distacco dalla relazionalità e dalla sana e necessaria dipendenza dall’Altro (interno o esterno che sia).
Il comportamento dipendente è, in questo senso, una difesa contro lo stato di angoscia dovuto alla percezione del proprio stato di dipendenza affettiva, percepita come una minaccia per la propria identità: “il soggetto tenta di sostituire ai suoi legami affettivi relazionali (…) dei legami di dominio e di influenza. Si tratta di frapporre, tra il soggetto e un suo possibile attaccamento, degli oggetti sostitutivi che creda di controllare: il cibo per la bulimia, la droga, etc.” (Jeammet, Corcos, 2002; p. 388). Il comportamento di dipendenza assume così una doppia valenza: oggetto primitivo soddisfacente ma dominante e crudele, amato e odiato; ed involucro protettivo rispetto agli stati di eccitazione stimolati dall’interno e dall’esterno (il ‘Claustrum’; Meltzer, 1992); il compromesso tra le necessità di un costante contatto relazionale e di un costante distanziamento da tutto ciò che è relazionale ed affettivo. Cioè che si interseca con la dinamica della normale dipendenza. In questo senso la relazionalità instaurata dal tossicomane è una relazionalità perversa (Jeammet, Corcos, 2002), in cui l’Altro è disconosciuto e negato nella sua differenza, ed in cui tutto ciò che importa è la sua funzione per il Sé e per il mantenimento della coesione interna, in un rapporto mantenuto solo in superficie, senza rischi. Ciò permette il perpetuarsi di un legame sadomasochistico e meccanico con i propri oggetti (di consumo o relazionali) senza che mai risalti il desiderio erotico, il corpo dell’Altro, o il proprio stato interno di depressione e di vuoto.
La condotta di dipendenza, dunque, rispecchia il funzionamento ‘in azione’ di una sottostante organizzazione di personalità e di modalità (a)relazionali, non sempre legata a precipui contesti psicopatologici e/o psichiatrici. In questo senso si potrebbe addirittura pensarla come una modalità ‘attiva’ da parte del soggetto di gestire la propria realtà interna incontrollabile, per salvaguardare il proprio Io grazie ad una dinamica di proiezione e manipolazione verso l’esterno, verso un oggetto su cui ‘distendere’ il proprio funzionamento mentale per coadiuvare un processo di rappresentazione (per quanto primitivo e distruttivo nel suo dispiegarsi). È in questo senso che si potrebbe considerare il comportamento dipendente come una reazione, in senso strutturale, alle pressioni del sociale e del familiare: in quanto fenomeno ubiquitario, trasversale ad ogni categoria nosografica (e non esclusivamente tipico della personalità borderline, come invece si ritiene), informato dal ripetersi costante del ‘Discorso del Capitalista’ (Lacan, 1978), esso è un sistema che si sforza di gestire l’equilibrio psichico e la distanza relazionale, il vuoto e la depressione, sopra un fondo di piacere perverso e di bisogno infantile. È il configurarsi di uno scherzo infinito e ripetitivo (Foster Wallace, 1996), che conduce al distacco dal mondo relazionale ed affettivo ed alla scissione funzionale di quelle parti del parti del Sé che dell’Altro hanno bisogno per esistere.
BIBLIOGRAFIA
BERGERET, J. (1981), “Aspects économique du comportament d’addiction”, in “Le psychanaliste à l’écoute du toxicomane”, edito Dunod, Paris; citato in JEAMMET, CORCOS (2002).
BERTOLINI, R. (2000), “ Personalità a rischio di tossicodipendenza”, in “Richard e Piggle”, 8, 1, 2000.
FOSTER WALLACE, D. (1996), “Infinite Jest”, tr. it. in Einaudi, 2006, Milano.
FREUD S., “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921), tr. it. in Bollati Boringhieri, 1978, Milano.
JEAMMET, P., CORCOS, M. (2002), “Aspetti psicopatologici della tossicomania in adolescenza”, in “Manuale Psicodiagnostico dell’adolescenza”, a cura di Ammaniti, 2002, edito Raffele Cortina, Milano.
KAËS R. (2009). “Le alleanze inconsce”, tr.it. in Borla, 2010, Roma.
LACAN, J. (1978), “Del discorso psicoanalitico”, tr.it. in “Lacan in Italia”, edito La Salamandra, Milano.
MELTZER, D. (1992) “Claustrum, uno studio dei fenomeni claustrofobici”, tr.it. in Raffaele Cortina Editore, 1993, Milano.
RACALBUTO, A. (2003) “Il setting psicoanalitico e la persona dell’analista”, in “Gli Argonauti”, 99, 2003.
RECALCATI, M. (2010), “L’uomo senza inconscio; figure della nuova clinica psicoanalitica”, Raffaello Cortina Editore, Milano.