I Mostri
Vittorio Caponcello
L’uomo, sin dai tempi antichi, è circondato dai mostri ed i mostri affondano le loro radici nei tempi più remoti della storia dell'uomo. Si ritrovano ovunque: nei miti, nelle storie popolari, nelle enciclopedie, nei bestiari medievali e contemporanei, nei romanzi moderni e antichi, nei film, nelle fantasie e negli incubi di adulti e bambini.
Forse è bene cominciare parlare di mostri a partire dal significato del termine. Dalla Enciclopedia Treccani online[1]:
“1. Un mostro è un essere che ha delle caratteristiche diverse da quelle che costituiscono la norma, e quindi genera stupore e paura; il suo aspetto è bizzarro e sgradevole, a volte spaventoso (può avere per esempio due teste, gli occhi sul petto, corpo di uomo e testa di animale e così via) e le sue dimensioni sono diverse da quelle umane. (…) 2. In senso figurato, può essere detta mostro, con valore fortemente dispregiativo, una persona dall’aspetto sgradevole, 3. oppure una persona molto malvagia, 4. in particolare, nel linguaggio giornalistico, viene detto mostro chi ha commesso uno o più delitti particolarmente crudeli ed efferati (…)”.
Il corrispettivo in greco antico è il termine téras, tératos (presagio, portento, augurio) un vocabolo neutro di origine oscura, che indica assieme sia il segno divino che i mortali possono interpretare per conoscere il futuro, sia il segno divino che implica un'atmosfera di terrore, quale appunto, un mostro. Già implicito nel termine greco vi è dunque una doppia valenza.
Il latino monstrum indica anch’esso il prodigio, la cosa straordinaria e contro natura; origina direttamente da monere (mostrare, ammonire) ed ha dunque a che fare l’avvenimento che ammonisce della volontà degli dei e che si verifica rompendo le comuni norme che regolano la natura. Monstrum, quindi, avrebbe sia il significato di un avvertimento divino, di un presagio che prende l'aspetto di un essere sovrannaturale o fuori dalla norma, che, secondariamente, il significato di ‘deforme’. Del resto per gli antichi un bambino o un animale nato con una deformità informa come un presagio della contrarietà degli dei, o della sfortuna incipiente.
Gli elementi di significazione che sussistono tra i due termini, oltre a quello di mostruoso in senso stretto, sono dunque: “ciò che esce dal comune”, “l'essere straordinario” e il “segno da interpretare”. Così, monstrum e teras indicano qualcosa di meraviglioso, miracoloso, prodigioso per bellezza o per orrore, dotato di un significato, per quanto oscuro. Già nei termini antichi è presente una ambiguità e una ambivalenza del senso. La questione del ‘segno da interpretare’, e dello ‘straordinario’ ci permette di avvicinare concettualmente questi termini ad a quelli di ‘oracolo’ o ‘enigma’, così come ne parla Corrao (1981, p.102[2]): “Per i greci (e per noi ancora oggi) la formulazione di un enigma porta con sé una terribile carica di ostilità distruttiva. La Sfinge (un teras o monstrum n.d.r.) è mandata da Apollo ad imporre la sfida mortale; solo chi scioglie l’enigma può salvare se stesso”. È notevole, tra l’altro, che la risposta all’enigma del mostro sia: uomo, cioè me stesso.
Un mostro è anche un enigma dei sensi: è l’immagine di un qualcosa che non esiste in natura ma che è al contempo immaginabile solo attraverso l’unione di elementi presenti in natura. Pensiamoci: non è possibile immaginarsi un mostro, una bestia non reale, se non unendo assieme elementi rappresentabili, immaginabili, di cose, umani o altri animali, realmente esistenti. Così i mostri come descritti nei bestiari medievali o nelle più moderne rappresentazioni filmiche, sembrano sempre essere riconducibili a parti dell’esistente, del conosciuto: la Sfinge (almeno in una delle sue possibili iterazioni) ha corpo di leone, testa umana, ed è dotata di ali; l’Idra è un serpente di sei o nove teste; il Minotauro ha corpo di uomo e testa di toro; il drago è un serpente o una lucertola gigante, munita o meno di ali, corna, artigli e, nella mitologia Norrena, di parola (per altro con un certo gusto per gli indovinelli e gli enigmi[3]). E così via: l’unicorno, il pegaso, la Chimera, le arpie, il cerbero, Godzilla, lo Slender Man, It… etc. Come il Mito, anche i mostri possono inoltre avere diverse versioni, nessuna preponderante sulle altre e tutte di simile valore.
Il mostruoso è sfuggente, non ha confini certi, è multiforme e può coinvolgere tutte le specie viventi ed ogni loro caratteristica. Gli scrittori moderni che vorrebbero esulare dall’uso degli elementi del conosciuto nella creazione del loro mostro, possono solo ricorrere a frasi del tipo: “L’Essere è indescrivibile, non esiste lingua adatta a simili abissi d’immemore e agghiacciante follia, a tali mostruose contraddizioni di tutto ciò che sappiamo di materia, energia e ordine cosmico”[4], rinunciando così alla possibilità o necessità di descrivere il mostro.
Il mostro, dunque, è di per sé assimilabile al concetto di enigma ed anche a quello del paradosso. Caratteristica dell’enigma, dice Corrao[5], è “la sua formulazione contraddittoria, la formulazione di una impossibilità razionale che esprime tuttavia un oggetto reale”. Il mostro è, allo stesso modo, una contraddizione in termini, qualcosa che non può esistere se non nell’immaginazione e nella paura e nello stupore. È un inganno dei sensi e della fantasia, che per percepire e pensare l’inesistente assemblano le parti e i caratteri di ciò che conoscono (incluso l’uomo) per produrre qualcosa di non reale, unendo le singole parti in associazioni impossibili e trasferendo la caratteristiche degli elementi che compongono il mostro alla totalità che essi compongono, dandogli così un senso che potrebbe essere interpretabile simbolicamente. Un processo di assemblaggio e produzione di senso simile a quello del mito e dei mitologhemi[6].
Del resto, nelle narrazioni su mostri è spesso facile attribuire un significato allegorico alla figura del mostro in base alle sue caratteristiche. In epoca medioevale e cristiana, non a caso, i mostri erano usati costantemente in senso allegorico, in ogni campo: dal testo sacro (si pensi alla Apocalisse), passando per la poesia (La Divina Commedia), la narrativa ed il folklore (le fiabe raccolte nell’800 dai fratelli Grim, prima infinite volte raccontate a voce), fino alla rappresentazione visiva all’interno delle chiese.
Non c’è nel mostro separazione netta tra il mondo reale e il mondo del fantastico, tra il vero e il falso, tra gli oggetti inanimati e le creature viventi (vedi: le pitture di Bosch). Nel mostro, in quanto risultato dell’intrecciarsi delle modalità simmetriche ed asimmetriche della mente[7], le categorie logiche classiche vengono a cadere ed il campo del razionale e del sensibile si confonde con quello dell’inconscio e dell’emotivo. In questo senso non sono chiari i confini tra mostruoso, mondo umano e mondo animale: la Sfinge – essere mostruoso – pone a sua volta un enigma la cui risposta è, si è detto non a caso, l’uomo. È bene ricordare en passant l’idea di Bion per cui il mito di Edipo, così seminale per la psicoanalisi, sarebbe un mito sulla conoscenza, e non solo sull’aspetto sessuale[8].
Il mostro, si potrebbe ipotizzare, sarebbe la manifestazione e l'incarnazione degli infiniti timori e delle infinite declinazioni psichiche ed emotive dell’essere umano: la paura di una realtà naturale che non si comprende e che non si riesce a controllare (come la morte o l’annientamento); la paura di tutto ciò che è diverso o altro da sé, inconsueto o nuovo (come un vicino troppo forte o troppo diverso); la paura di tutto ciò che di mostruoso ci potrebbe essere in sé (come la pulsione o il desiderio inconscio). Non a caso, tra gli esempi di mostruoso nel mondo antico come in quello moderno, ci troviamo spesso il selvaggio, quasi alla stregua di un animale, mostruoso nel suo comportamento in quanto esula dalla norma comune della polis o della civitas. Mostruoso è tutto ciò che non comprendiamo o che non si lascia ricondurre al già noto; mostruoso è tutto ciò che ci ripugna e ci fa desiderare di non vederlo. In questo senso, stabilire che qualcuno sia mostruoso, implica immediatamente che quel qualcuno non sia riconducibile a noi, alla nostra cultura, ai nostri modi di essere, esige la non applicabilità del rapporto di similarità o somiglianza. Tuttavia è risaputo come l’uso della negazione e della proiezione all’esterno comporti, paradossalmente, un’affermazione inconscia di una parte di sé, disconosciuta e rifiutata, familiare eppure distanziata. Non è questo lo Unheimlich, il perturbante di Freud[9]?
Nei trattati medievali i mostri, geograficamente non presenti nel mondo conosciuto, vengono non a caso collocati nei luoghi più distanti: l’India, l’Africa, l’Asia, il Nord estremo, le terre sconosciute. Dove non è possibile mappare si scrive: hic sunt dracones. La maggior parte dei racconti greci e romani colloca le razze mostruose sulle montagne, nelle caverne, nel deserto, nei boschi, che diventano elementi intrinseci al loro essere mostruosi in quanto non cittadini. Nello spazio geografico lontano e non civilizzato, e quindi immaginario e fantasmatico, si configura la possibilità dell’unione dei caratteri diversi della realtà in irrealtà mostruose e cariche di terrore e meraviglia. Lì, non qui. Loro, non noi. Allora, non adesso. Lo spazio ed il tempo sono percepiti in modo opposto a seconda che siano vicini o lontani: il vicino rappresenta l’uguale, il simile, il conosciuto; il lontano il diverso e, quindi, il mostruoso. Anche l’uomo ‘primitivo’ o antico è considerabile mostruoso rispetto a noi (violenza, schiavitù, cannibalismo…).
La paura dell'ignoto di cui le razze e le bestie mostruose sono la materializzazione, come in un doppio (Freud, ibidem) ed il riflesso della natura più profonda dell'uomo: la loro percepita anormalità definisce la norma, ci conferma, e mette fine alla nostra inquietudine. Finché esistono i mostri, è possibile definire in negativo ciò che noi non siamo.
Il mostro subisce nel tempo delle trasformazioni, si adatta alle diverse epoche, ma non cessa di esistere. Persino ai giorni nostri non abbiamo rinunciato al tentativo di cercarli: gli extraterrestri, i mostri sopravvissuti in regioni remote come l'Himalaya, o in luoghi difficilmente sondabili come Loch Ness o gli abissi marini, hanno preso il posto dei mostri e dei luoghi esotici di un tempo.
Il mostro, in questo senso, serve per mostrare o indicare degli aspetti dello psichismo umano. La sua funzione sarebbe quella di indicare, o ammonire, riguardo ciò che devia dalla norma, dalla rettitudine, dalla morale comune. Dire di qualcuno che è un mostro, si è detto, significa porlo al di fuori della condivisa norma, e renderlo meritevole di ogni punizione e trattamento inumano. Tipica è la scena del mostro inseguito con forconi e fiaccole dalla folla inferocita. Ogni volta che non sono riusciti a trovarli in natura, gli uomini hanno creato con parole e immagini i mostri nei quali avevano bisogno di credere, anche quando i mostri assumevano, giusto per fare un esempio, le sembianze del nemico anch’esso apparentemente umano (il nazista, il bolscevico, il maoista, l’imperialista, etc), a cui vengono attribuite le condotte più inumane. Di volta in volta oggetto di curiosità o di repulsione, causa di terrore o di stupore, simbolo del male, allegoria o caricatura, il mostro è l'espressione della molteplicità umana, ed esprime al contempo il bisogno di riaffermare i limiti della propria, indisturbata normalità.
I mostri potrebbero dunque essere visti come una necessità psicologica. In altre parole: “sono buoni da pensare[10]”. Il mostro sembra avere “un ruolo necessario, forse vitale, nella psiche umana. Se il mostro appare in ogni epoca, in ogni civiltà […] esso è certamente una funzione naturale[11], ed in campo psicoanalitico lo si potrebbe pensare come un modello euristico[12], in modo non difforme dal mito.
[1] https://www.treccani.it/vocabolario/mostro
[2] Corrao, 1981g, Il paradosso epistematico dell’esperienza analitica, contenuto in Orme, Vol. Primo, Contributi alla psicoanalisi, Raffaele Cortina Editore, 1998, Milano.
[3] J.R.R. Tolkien, Lo hobbit, tr. It. In Bompiani Editore, Milano, 2012.
[4] Lovecraft H.P., Il Richiamo di Cthulhu, 1926, tr. It. In H.P. Lovecraft, tutti i racconti 1923-1926, Mondadori editore, Milano, 1990.
[5] Corrao, 1981g, Il paradosso epistematico dell’esperienza analitica, contenuto in Orme, Vol. Primo, Contributi alla psicoanalisi, Raffaele Cortina Editore, 1998, Milano.
[6] Sapienza, S., Tenerini, A., (2018), Freud, Bion, Matte Blanco e l'arco di Filottete. Mito, clinica e ricerca in psicoanalisi, Armando Editore, Roma.
[7] Matte Blanco I. (1975), L'inconscio come insiemi infiniti: saggio sulla bi-logica, a cura di P. Bria, Torino, Einaudi, 2000.
[8] Bion, (1963) Elementi della psicoanalisi, tr.it in Armando Editore, Roma 1973.
[9] Freud, 1919, Il perturbante, in Opere. Vol. 8: Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti (1915-1917), Bollati Boringhieri, Torino, 1978.
[10] Sperber D., 1980, tr. It. In Animali perfetti, ibridi e mostri, Roma, 1986
[11] Klapper, C. 1980 Le monstre: pouvoirs de l’oisture, Paris, Presses Universitaires de France, citato in Sebenico S. I mostri dell’occidente medievale: fonti e diffusione di razze umane mostruose, ibridi e animali fantastici, Università degli studi di Trieste, EUT, Trieste, 2005”).
[12] Corrao, F. (1992), Modelli psicoanalitici: Mito, Passione, Memoria, Laterza Editore, Roma.